Evviva il Carnevale!

Dalle maschere dell'antico teatro alle maschere che hanno segnato la nostra epoca.






Fin da quando la vita degli uomini era ancora legata al mito, la maschera, che deriva dall'arabo mascharà che significa scherno, satira, era un elemento indispensabile nel costume degli attori. 
Era una faccia cava, dietro la quale si nascondeva il viso ed era da attribuirsi alla mentalità superstiziosa e suggestionabile degli uomini che la indossavano credendo di allontanare in questo modo gli spiriti malefici, anche durante le cerimonie religiose. 
Nelle scene del teatro greco, le facce finte dipinte a colori vivaci avevano aperture per la bocca e per gli occhi, mentre a Roma erano più in uso delle maschere nere a strisce che coprivano soltanto gli occhi. 
Nel Medioevo, e dal 1600 con la commedia dell'arte poi, la recitazione divenne improvvisata e il genere teatrale buffonesco. 
Ogni attore si specializzò nella caricatura di personaggi con determinate caratteristiche: l'innamorato, il bugiardo, il dottore, il padre credulone, e ogni tipo diventò celebre per le battute umoristiche, per l'originalità degli atteggiamenti, per il costume e questi personaggi furono chiamati maschere.



Ognuna rappresentò la città o la regione da cui aveva avuto origine vestita con il costume tradizionale del posto. 
Una delle prime maschere fu quella di Capitan Spaventa, spadaccino temerario, millantatore che combatteva più con la lingua che con la spada.




A Venezia troviamo Pantalone, figura grottesca spigolosa con le scarpe a punta rialzata, vecchio brontolone incontentabile, onesto e vittima immancabile dei più furbi.


Indimenticabile è anche la maschera del dottor Balanzone, pedante e noioso sputasentenze principe del foro bolognese; il malinconico e indolente Pulcinella, che ricorda il bianco e patetico Pierrot, un misto tra Arlecchino e Pulcinella, dal triste volto infarinato e diventato maschera francese di successo; sempre di origini partenopee  Scaramuccia, innocuo spaccone che ama ostentare titoli inesistenti.




Arlecchino, l'esemplare per eccellenza della categoria dei servi sciocchi, inizialmente ingenuo e intrigante, poi divenuto più arrogante e astuto, era la maschera italiana che divertiva le platee di tutta Europa. Era l'allegro domestico fannullone sempre pronto a dedicarsi ad ogni genere di bagordi.




Poi vi ricorderete anche di Brighella, Meneghino, Florindo, Gianduia, Gioppino, Scapino, Rosaura, Smeraldina, Colombina...




Le influenze delle maschere della commedia dell'arte italiana  sul teatro europeo furono così celebri da essere descritte anche da Molière, Shakespeare e da vari autori spagnoli. Lo stesso Goldoni, per creare quella che sarebbe diventata la commedia italiana moderna, si ispirò alle maschere italiane. 
Ricordo che a scuola un tempo, si viveva il Carnevale come una variopinta, festosa mascherata nella quale noi bambini guidati dai maestri, facevamo rivivere i personaggi della commedia dell'arte con letture, costumi e scenette. 
In quei giorni ci improvvisavamo attori e musici con pochi oggetti, diventavamo spavaldi, malinconici o allegri a secondo delle battute da recitare, e i nostri costumini erano per lo più fatti da mani casalinghe o recuperati da abiti dismessi. Le mascherine erano disegnate e ritagliate a casa dopo aver fatto tanto lavoro di ricerca sui libri, non su Internet, e le parrucche erano fatte con l'ovatta ed erano affidate alle mani della più estrosa delle parrucchiere, la mamma, che le confezionava per il tipo di maschera da indossare. 
Rivedo ancora tanti piccoli Arlecchini, spadaccini, Pierrot, damine, principesse, a scuola con la loro sacca sulla spalla, i coriandoli e le stelle filanti nelle mani e tanto divertimento nel cuore.


 
  S.C.


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